lunedì 18 marzo 2013

Riformulare L'Economia: Soluzioni alla Crisi dal Terzo Settore di Grasso Remo


In data 11 Marzo è stato reso noto, alla presenza del Presidente Giorgio Napolitano, il rapporto BES 2013.

Dalla pagina del sito Istat dedicata  http://www.istat.it/it/archivio/84348  leggiamo:

“Il progetto per misurare il Benessere Equo e Sostenibile – nato da un’iniziativa del Cnel e dell’Istat – si inquadra nel dibattito internazionale sul cosiddetto “superamento del Pil”, stimolato dalla convinzione che i parametri sui quali valutare il progresso di una società non debbano essere solo di carattere economico, ma anche sociale e ambientale, corredati da misure di diseguaglianza e sostenibilità.”

 In parole povere il rapporto ha la mission di definire “che cosa conta davvero per l'Italia”.

La proposta è quella di uno “spostamento dell’enfasi dalla misurazione della produzione economica alla misurazione del benessere delle persone” attraverso raccomandazioni che suggeriscono di valutare la performance economica guardando al reddito e ai consumi piuttosto che alla produzione, approfondendo gli elementi distributivi ossia non solo quanto siamo ricchi ma quanto equamente è distribuita la ricchezza e concentrando l’attenzione sulla condizione delle famiglie.

Questo approccio nasce dalla considerazione che il tema della misurazione del progresso ha due componenti: la prima, prettamente politica, riguarda il contenuto del concetto di benessere; la
seconda, di carattere tecnico–statistico, concerne la misura dei concetti ritenuti rilevanti.
Si tratta di selezionare, con il coinvolgimento di tutti i settori della collettività e degli esperti di misurazione, l’insieme degli indicatori ritenuti più rilevanti e rappresentativi del benessere di una particolare collettività.

Il rapporto BES, di fatti, si compone di ben 12 indicatori generali :
Salute
Istruzione e formazione
Lavoro e conciliazione dei tempi di vita 
Benessere economico 
Relazioni sociali
Politica e istituzioni  
Sicurezza  
Benessere soggettivo  
Paesaggio e patrimonio culturale  
Ambiente
Ricerca e innovazione
Qualità dei servizi  

La nostra attenzione, in questo articolo, si concentrerà sulla sfera del benessere economico, inteso però non solo come mera produzione di ricchezza o di capacità di sostegno economico, ma anche come fonte di coinvolgimento territoriale e di sviluppo comunitario.

Ad oggi, il grande problema evidenziato dalla crisi finanziaria ed istituzionale è il costo del lavoro. Sembrerebbe quasi un paradosso poiché il lavoro dovrebbe potare benessere economico, sviluppo, indotto commerciale e reddito e non costi tali da far rinunciare alle assunzioni.

Chi ha avuto o ha esperienze nel campo del volontariato sa che il lavoro del volontario, in termini prettamente economici, crea solo costi e non reddito ma il volontariato, nel suo “lavoro”, realizza quello che è un fenomeno che è alla base della crisi finanziaria e del capitalismo in generale: il volontario e il suo “portafoglio clienti” sono fattori non delocalizzabili.

 È ovvio che il volontario opera specializzandosi sul proprio territorio sentendo le necessità  di quest’ultimo e questo approccio non è “appaltabile” né all’estero né in altre zone. 
Ora si potrebbe pensare che anche se questo fattore è fondamentale, non crea comunque sviluppo economico. Questa concezione, riprendendo il rapporto BES, è ormai superata poiché abbiamo assistito al fallimento del mercato finanziario e dei suoi sprechi, delle sue classificazioni (o declassificazioni), della sua vulnerabilità.
 Il volontario crea beni relazionali ben diversi dai beni di stimolo (quelli pubblicitari) che alimentano solo il danno di una offerta sempre maggiore a fronte di una domanda sempre minore.


 Il bene relazionale è fondamentale per lo sviluppo economico e sociale di un Paese. 
 


Lo schema è molto semplice: il rapporto BES ci dimostra che la felicità di un Paese e il suo benessere non si basano solo sulla produzione economica ma su tanti fattori che contribuiscono alla felicità di una comunità; il bene relazionale e il lavoro sul proprio territorio contribuisce allo sviluppo economico e soprattutto di capitale sociale, umano e dei valori di questa comunità. La relazione diventa PIL. Poiché questo processo aumenta la felicità delle persone, il benessere incide sul mercato, quindi aumenta la produzione e l’entrata di capitali. Naturalmente perché tutto questo funzioni sono necessarie due riforme: 





-                   -  Cambiare le regole fiscali.

-                         - Diminuire le tasse sulla produzione socio-economica.

 
Ad oggi, quindi, la grande sfida è quella di iniziare a ripensare all’economia non solo in termini di produzione, di acquisto e reddito disponibile, ma di trovare nella relazione sociale e nelle opportunità territoriali quella sostenibilità finalizzata alla produzione comune.









Il grafico in [FIG 1] che qui riporto, estrapolato dal BES, ci dimostra come l'incremento dei prezzi al consumo sia stato superiore a quello del reddito disponibile in termini nominali. .

Di conseguenza le famiglie sono state costrette ad attingere ai propri risparmi, diminuendo quella che era la propensione tipica di noi Italiani. 
Il bene relazionale riesce a compensare questo deficit facendo leva sulla fiducia e sulla solidarietà delle persone. Il così detto Homo Economicus è stato per noi una involuzione anziché un passo avanti nel cambio generazionale perché non crea relazione ma da fiducia solo a statistiche e andamenti bancari visualizzati sul monitor di un PC senza contestualizzare la situazione sociale di una comunità e il suo benessere.

 Questo ragionamento ci ha portati a pensare all’economia come qualcosa che non si specchia più nel commercio, nella produzione, nell’esportazione ma solo nel titolo del mercato, nella differenza di debito pubblico contribuendo a quella che è l’infelicità generalizzata e all’aumento della sfiducia nella ripresa economica.
 
La nuova parola d’ordine dell’economia deve essere “LAVORARE PER GLI ULTIMI”, per recuperare un divario sempre più crescente, una distribuzione della ricchezza che ha raggiunto picchi massimi di disuguaglianza e una crescita che non è auspicabile senza un lavoro di comunità, fiducia reciproca e solidarietà.




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