giovedì 28 febbraio 2013

Sogni di una giovane precaria. Viaggio nella mente di chi si affaccia nel mondo “in crisi”. Di Francesca Mastrogiacomo.


         
Quando ero piccola sognavo possibilità. Di fare carriera, crearmi una famiglia assieme ad un compagno di vita, comprare casa e garantire alla mia famiglia una vita dignitosa.
È passato molto tempo da quel sogno. Ora ho ventisei anni ed un curriculum pieno di titoli ed esperienze lavorative, naturalmente non retribuite. Come la maggior parte dei giovani della mia generazione, anche io sono entrata nel vortice degli stage non retribuiti, dei lavoretti saltuari, dei tirocini all’estero finanziati dai miei genitori e ai quali ho dovuto rinunciare non senza dispiacere. Ora davanti a me ho solo incertezze.
C’è crisi, non c’è lavoro. Tutto vero. Ma se c’è crisi, mi domando perché leggo di consulenze negli enti pubblici pagate decine di migliaia di euro, di membri del Parlamento con vitalizi da capogiro e con tutta una serie di agevolazioni economiche, tra le quali figurano viaggi gratis su treni e aerei, per non parlare del pedaggio autostradale, anche esso gratuito. Mio padre, come milioni di italiani, paga il pedaggio per viaggiare in autostrada e non ha portaborse finanziati dalla Camera o dal Senato. Il mio futuro è incerto come quello di molti altri ragazzi.
Facciamo parte della prima generazione che sta peggio dei propri padri. Perché di solito, il progresso scientifico e tecnologico aiutano a migliorare il proprio tenore di vita e le proprie aspettative. Durante i miei studi ho imparato che con la nascita delle prime associazioni di lavoratori e poi dei sindacati, le condizioni dei lavoratori sono parecchio migliorate. Si sono evolute, garantendo a tutti pari dignità di trattamento, sia in termini  economici che di benessere lavorativo. Io vedo solo gente con l’I phone, che a stento riesce a mettere in tavola un piatto caldo per i propri figli.
Da piccola vedevo la mia vita scandita a tappe: le scuole elementari, le medie, il liceo. “Vai all’università” mi hanno detto. Mi sono laureata alla triennale e poi alla magistrale. Ed ora? “Ora ci vuole un master, poi il dottorato, corsi di specializzazione, corsi professionali, di formazione e stage all’estero”. Ed il Nobel? Oppure un corso di triplo salto mortale con avvitamento, spaccata verticale e ritorno sul dito medio. Mi domando a cosa serva tutta questa specializzazione se alla fine e con una buona dose di …. fortuna, andremo a ricoprire ruoli che prima erano di lavoratori meno qualificati rispetto a noi.
Ci hanno chiamati “Bamboccioni” perché rispetto alla media europea restiamo più a lungo a casa con mamma e papà. Questi signori, però, dimenticano che negli altri paesi non esistono stagisti non pagati e le condizioni di lavoro sono certamente migliori, che permettono di andare via di casa già con il raggiungimento della maggiore età.
Ma io vivo in Italia, patria di santi, navigatori e precari.



Nessun commento:

Posta un commento