Quando ero piccola sognavo
possibilità. Di fare carriera, crearmi una famiglia assieme ad un compagno di
vita, comprare casa e garantire alla mia famiglia una vita dignitosa.
È passato molto tempo da quel
sogno. Ora ho ventisei anni ed un curriculum pieno di titoli ed esperienze
lavorative, naturalmente non retribuite. Come la maggior parte dei giovani
della mia generazione, anche io sono entrata nel vortice degli stage non
retribuiti, dei lavoretti saltuari, dei tirocini all’estero finanziati dai miei
genitori e ai quali ho dovuto rinunciare non senza dispiacere. Ora davanti a me
ho solo incertezze.
C’è crisi, non c’è lavoro. Tutto
vero. Ma se c’è crisi, mi domando perché leggo di consulenze negli enti
pubblici pagate decine di migliaia di euro, di membri del Parlamento con
vitalizi da capogiro e con tutta una serie di agevolazioni economiche, tra le
quali figurano viaggi gratis su treni e aerei, per non parlare del pedaggio
autostradale, anche esso gratuito. Mio padre, come milioni di italiani, paga il
pedaggio per viaggiare in autostrada e non ha portaborse finanziati dalla
Camera o dal Senato. Il mio futuro è incerto come quello di molti altri
ragazzi.
Facciamo parte della prima
generazione che sta peggio dei propri padri. Perché di solito, il progresso
scientifico e tecnologico aiutano a migliorare il proprio tenore di vita e le
proprie aspettative. Durante i miei studi ho imparato che con la nascita delle
prime associazioni di lavoratori e poi dei sindacati, le condizioni dei
lavoratori sono parecchio migliorate. Si sono evolute, garantendo a tutti pari
dignità di trattamento, sia in termini
economici che di benessere lavorativo. Io vedo solo gente con l’I phone,
che a stento riesce a mettere in tavola un piatto caldo per i propri figli.
Da piccola vedevo la mia vita
scandita a tappe: le scuole elementari, le medie, il liceo. “Vai
all’università” mi hanno detto. Mi sono laureata alla triennale e poi alla
magistrale. Ed ora? “Ora ci vuole un master, poi il dottorato, corsi di
specializzazione, corsi professionali, di formazione e stage all’estero”. Ed il
Nobel? Oppure un corso di triplo salto mortale con avvitamento, spaccata
verticale e ritorno sul dito medio. Mi domando a cosa serva tutta questa
specializzazione se alla fine e con una buona dose di …. fortuna, andremo a
ricoprire ruoli che prima erano di lavoratori meno qualificati rispetto a noi.
Ci hanno chiamati “Bamboccioni”
perché rispetto alla media europea restiamo più a lungo a casa con mamma e
papà. Questi signori, però, dimenticano che negli altri paesi non esistono
stagisti non pagati e le condizioni di lavoro sono certamente migliori, che
permettono di andare via di casa già con il raggiungimento della maggiore età.
Ma io vivo in Italia, patria di
santi, navigatori e precari.
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