In data 11
Marzo è stato reso noto, alla presenza del Presidente Giorgio Napolitano, il
rapporto BES 2013.
Dalla pagina
del sito Istat dedicata http://www.istat.it/it/archivio/84348
leggiamo:
“Il progetto
per misurare il Benessere Equo e Sostenibile – nato da un’iniziativa del
Cnel e dell’Istat – si inquadra nel dibattito internazionale sul cosiddetto
“superamento del Pil”, stimolato dalla convinzione che i parametri sui quali
valutare il progresso di una società non debbano essere solo di carattere
economico, ma anche sociale e ambientale, corredati da misure di diseguaglianza
e sostenibilità.”
In parole povere il rapporto ha la mission di definire
“che cosa conta davvero per
l'Italia”.
La proposta è quella di uno “spostamento
dell’enfasi dalla misurazione della produzione economica alla misurazione del
benessere delle persone” attraverso raccomandazioni che suggeriscono di
valutare la performance economica guardando al reddito e ai consumi piuttosto
che alla produzione, approfondendo gli elementi distributivi ossia non solo
quanto siamo ricchi ma quanto equamente è distribuita la ricchezza e
concentrando l’attenzione sulla condizione delle famiglie.
Questo approccio nasce dalla considerazione
che il tema della misurazione del progresso ha due componenti: la prima,
prettamente politica, riguarda il contenuto del concetto di benessere; la
seconda, di carattere
tecnico–statistico, concerne la misura dei concetti ritenuti rilevanti.
Si tratta di selezionare, con il
coinvolgimento di tutti i settori della collettività e degli esperti di
misurazione, l’insieme degli indicatori ritenuti più rilevanti e rappresentativi
del benessere di una particolare collettività.
Il rapporto BES, di fatti, si
compone di ben 12 indicatori generali :
Salute
Istruzione
e formazione
Lavoro
e conciliazione dei tempi di vita
Benessere
economico
Relazioni
sociali
Politica
e istituzioni
Sicurezza
Benessere
soggettivo
Paesaggio
e patrimonio culturale
Ambiente
Ricerca
e innovazione
Qualità
dei servizi
La nostra attenzione, in questo
articolo, si concentrerà sulla sfera del benessere economico, inteso però non
solo come mera produzione di ricchezza o di capacità di sostegno economico, ma
anche come fonte di coinvolgimento territoriale e di sviluppo comunitario.
Ad oggi, il grande problema
evidenziato dalla crisi finanziaria ed istituzionale è il costo del lavoro. Sembrerebbe quasi un paradosso poiché il lavoro
dovrebbe potare benessere economico, sviluppo, indotto commerciale e reddito e
non costi tali da far rinunciare alle assunzioni.
Chi ha avuto o ha esperienze nel
campo del volontariato sa che il lavoro del volontario, in termini prettamente
economici, crea solo costi e non reddito ma il volontariato, nel suo “lavoro”,
realizza quello che è un fenomeno che è alla base della crisi finanziaria e del
capitalismo in generale: il volontario e il suo “portafoglio clienti” sono
fattori non delocalizzabili.
È ovvio che il volontario opera specializzandosi
sul proprio territorio sentendo le necessità
di quest’ultimo e questo approccio non è “appaltabile” né all’estero né
in altre zone.
Ora si potrebbe pensare che anche se
questo fattore è fondamentale, non crea comunque sviluppo economico. Questa
concezione, riprendendo il rapporto BES, è ormai superata poiché abbiamo
assistito al fallimento del mercato finanziario e dei suoi sprechi, delle sue
classificazioni (o declassificazioni), della sua vulnerabilità.
Il volontario crea beni relazionali ben
diversi dai beni di stimolo (quelli pubblicitari) che alimentano solo il danno
di una offerta sempre maggiore a fronte di una domanda sempre minore.
Il bene
relazionale è fondamentale per lo sviluppo economico e sociale di un Paese.
Lo schema è molto semplice: il
rapporto BES ci dimostra che la felicità di un Paese e il suo benessere non si
basano solo sulla produzione economica ma su tanti fattori che contribuiscono
alla felicità di una comunità; il bene relazionale e il lavoro sul proprio
territorio contribuisce allo sviluppo economico e soprattutto di capitale
sociale, umano e dei valori di questa comunità. La relazione diventa PIL.
Poiché questo processo aumenta la felicità delle persone, il benessere incide
sul mercato, quindi aumenta la produzione e l’entrata di capitali. Naturalmente
perché tutto questo funzioni sono necessarie due riforme:
- - Cambiare le
regole fiscali.
-
- Diminuire le
tasse sulla produzione socio-economica.
Ad oggi,
quindi, la grande sfida è quella di iniziare a ripensare all’economia non solo
in termini di produzione, di acquisto e reddito disponibile, ma di trovare
nella relazione sociale e nelle opportunità territoriali quella sostenibilità
finalizzata alla produzione comune.
È ovvio che il volontario opera specializzandosi sul proprio territorio sentendo le necessità di quest’ultimo e questo approccio non è “appaltabile” né all’estero né in altre zone.
Il bene relazionale è fondamentale per lo sviluppo economico e sociale di un Paese.
Lo schema è molto semplice: il
rapporto BES ci dimostra che la felicità di un Paese e il suo benessere non si
basano solo sulla produzione economica ma su tanti fattori che contribuiscono
alla felicità di una comunità; il bene relazionale e il lavoro sul proprio
territorio contribuisce allo sviluppo economico e soprattutto di capitale
sociale, umano e dei valori di questa comunità. La relazione diventa PIL.
Poiché questo processo aumenta la felicità delle persone, il benessere incide
sul mercato, quindi aumenta la produzione e l’entrata di capitali. Naturalmente
perché tutto questo funzioni sono necessarie due riforme:
- - Cambiare le
regole fiscali.
-
- Diminuire le
tasse sulla produzione socio-economica.
Il grafico in [FIG 1] che qui riporto, estrapolato dal BES, ci dimostra come l'incremento dei prezzi al consumo sia stato superiore a quello del reddito disponibile in termini nominali. .
Di
conseguenza le famiglie sono state costrette ad attingere ai propri risparmi,
diminuendo quella che era la propensione tipica di noi Italiani.
Il bene
relazionale riesce a compensare questo deficit facendo leva sulla fiducia e
sulla solidarietà delle persone. Il così detto Homo Economicus è stato per noi
una involuzione anziché un passo avanti nel cambio generazionale perché non
crea relazione ma da fiducia solo a statistiche e andamenti bancari
visualizzati sul monitor di un PC senza contestualizzare la situazione sociale
di una comunità e il suo benessere.
Questo ragionamento ci ha portati a pensare
all’economia come qualcosa che non si specchia più nel commercio, nella
produzione, nell’esportazione ma solo nel titolo del mercato, nella differenza
di debito pubblico contribuendo a quella che è l’infelicità generalizzata e
all’aumento della sfiducia nella ripresa economica.
La nuova
parola d’ordine dell’economia deve essere “LAVORARE
PER GLI ULTIMI”, per recuperare un divario sempre più crescente, una distribuzione
della ricchezza che ha raggiunto picchi massimi di disuguaglianza e una
crescita che non è auspicabile senza un lavoro di comunità, fiducia reciproca e
solidarietà.
Questo ragionamento ci ha portati a pensare all’economia come qualcosa che non si specchia più nel commercio, nella produzione, nell’esportazione ma solo nel titolo del mercato, nella differenza di debito pubblico contribuendo a quella che è l’infelicità generalizzata e all’aumento della sfiducia nella ripresa economica.
Nessun commento:
Posta un commento